Rallenta e goditi la vita! Lo Slow Marketing funziona davvero?
Perché dobbiamo cambiare il marketing e rimodellarlo su ritmi più umani? Perché così com’è ha deluso tutti: i manager aziendali (che non vedono risultati), i clienti (stanchi di essere inondati da comunicazioni spesso irrilevanti) e chi fa marketing – insicuro, frustrato e scarsamente soddisfatto dal risultato del proprio lavoro.
La sempre più diffusa tendenza a rallentare i ritmi frenetici della vita può rappresentare una buona soluzione anche per il nostro problema dando così vita allo Slow Marketing?

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In realtà, quella del marketing è una delle professioni più frustranti: a dirlo sono i numeri.
Secondo uno studio di Adobe, solo il 48% dei digital marketer afferma di considerare adeguata la propria performance, mentre uno scarso 9% degli intervistati ha dichiarato di essere convinto che i suoi programmi di marketing funzionino veramente.
Questo post sullo Slow Marketing non è solo una benevola provocazione ma una proposta seria: ogni cosa di valore, infatti, ha un costo perché richiede tempo, energia e passione. Tutto questo, però, si sposa male con l’odierna tendenza a correre per inseguire traguardi sempre più lontani
Non meno scettici si sono rivelati i responsabili aziendali: secondo una ricerca condotta da Fortunaise, ben l’ 80% dei CEO non ha una grossa fiducia nel dipartimento marketing (mentre ne ha di più nei confronti di altri settori dell’organizzazione).
I problemi si sommano dato che, anche clienti e potenziali acquirenti, lamentano di essere infastiditi da una pubblicità martellante e da comunicazioni spesso inutili.
Si calcola che nel 2015 la spesa globale complessiva per il marketing sfiorerà i 540 miliardi di dollari – soltanto per gridare sempre più forte: “compra!” ma senza dare in cambio al mercato alcun valore aggiunto.
Offriamo qualcosa di buono
Molti addetti ai lavori hanno parlato apertamente delle loro frustrazioni e del come l’intenzione fosse quella di proporre al mercato un messaggio interessante e utile, mentre la realtà è stata purtroppo quella di essere etichettati come spammer e percepiti come “poco efficienti” dai superiori.
La necessità di rinnovare la disciplina del marketing nella sua essenza è stata discussa ampiamente; una delle possibilità di trasformarla in qualcosa di meglio di ciò che risulta essere attualmente, risiede probabilmente nella ricerca di ritmi più adeguati.
Rallentare può servire a favorire la crescita di relazioni credibili all’insegna della qualità, che si oppongano ai problemi creati dalla dittatura di un consumismo sfrenato.
Noi italiani difendiamo la qualità del cibo e la cultura del mangiare
La ricerca della lentezza è nata come movimento proprio in Italia, dove Slow Food si è imposto come difensore della grande tradizione culinaria italiana rispetto all’espansione dei fast food.
Nel 1986, quando McDonald’s ha aperto un locale in un’area storica di Roma, Carlo Petrini ha reagito a questo “oltraggio” fondando Slow Food – un’organizzazione che oggi conta circa 80.000 membri.
La loro filosofia di vita si oppone in modo intelligente alla cultura della rapidità e delle esperienze che durano pochi istanti, dove la qualità è sacrificata alla prospettiva di fare soldi in fretta.
Il concetto di lentezza è cresciuto e si è allargato ad altri settori importanti della vita: dal viaggiare al mettere su famiglia, dal tempo libero al modo di investire il proprio denaro. Perché non declinare questo paradigma anche al mondo del marketing?
Lento, infatti, non significa inefficiente ma più consapevole, ragionevole e, in prospettiva, più efficace – all’insegna della qualità e sostenibilità di ogni esperienza.
Vediamo quindi quali sono i motivi che spingono al cambiamento.
Motivo #1. Siamo stanchi di correre continuamente
Persone come Carolyn Tate, Tea Silvestre e Tad Hargrave parlano di una chiara necessità di cambiare. “E’ come se tutti strillassero in faccia l’un l’altro in una folle corsa ad accaparrarsi una fetta di mercato mentre le opportunità vanno progressivamente assottigliandosi”, afferma la Tate.
Dov’è lo spazio per ciò che ha valore e la capacità di migliorare la vita dei consumatori?
I marketer sono osservatori attenti della realtà e sono consapevoli di quanto stia diventando scomoda la loro posizione, così si cominciano a sentire voci di dissenso.
Lisa Nirell, a proposito di un modo più sensato di fare marketing, auspica la creazione di un ruolo più creativo e intelligente nel comunicare col mercato, altrimenti si rischia di essere ridotti a fare il lavoro di chi prende gli ordini in un McDrive.
Davvero desideriamo che il mondo diventi un gigantesco fast food, dove sono serviti soltanto prodotti veloci da preparare, economici, mediocri nella qualità e persino poco salutari se consumati in modo continuativo?
Motivo #2. La risposta negativa dei consumatori
I consumatori non reagiscono positivamente a messaggi aggressivi e massificati: le ricerche dimostrano, infatti, che le persone preferiscono una comunicazione costruita sui parametri dei loro interessi e bisogni.
Gli individui sono consapevoli che le loro informazioni personali vengono raccolte dalle aziende e le offrono spontaneamente agli interlocutori fidati in cambio di un trattamento in qualche modo diversificato e specifico.
E’ come se gli utenti dicessero: “OK, prendete i miei dati ed elaborateli, ma fatene un uso che porti anche a me qualche beneficio. Risparmiatemi tutto ciò che non mi interessa: avete in mano le informazioni per poterlo fare”.
Motivo #3. Nuovi tipi di imprese
La terza ragione per cui occorre pensare ad un modo diverso di fare marketing è la nascita di nuovi tipi di imprese: iniziative spesso locali e caratterizzate da valori distintivi, come cooperative per l’acquisto di generi alimentari, scuole per l’auto-valorizzazione o fornitori di specialità per diete particolari.
Tutti questi progetti richiedono un apporto da parte del marketing, ma non possono affidarsi al tradizionale modello secondo il quale “una taglia unica va bene per tutti”. Se per promuovere queste attività si acquista una lista di indirizzi email e si inizia a bombardare tutti i contatti con messaggi generici, si rischia di perdere immediatamente credibilità, soprattutto in rapporto a ciò che si intende offrire.
Un tale modello di business deve comunicare il valore dell’offerta e attrarre audience, ma può farlo soltanto con metodologie sottili, quelle che Tad Hargrave definisce: “marketing per hippy”.
In pratica occorre porre l’accento sulle creazione del valore percepito e sulla costruzione di una relazione di fiducia.
Questo comporta la definizione di un nuovo codice, in grado di distinguere il marketing veloce da quello lento:
- il fatturato diventa valore
- la transazione si trasforma in relazione
- non si parla di timori ma di sicurezze
- il passato e il futuro lasciano il posto al presente (qui e ora)
- il consumismo “cieco”diventa consapevole
- le prospettive a breve termine vengono sostituite da pazienza e visione strategica
A questo punto cerchiamo di capire come cambiare in meglio le cose.
Non spaventare
Lo Slow Marketing critica le tecniche di comunicazione odierne, focalizzate sulla creazione di timori e di un senso di mancanza (e di disagio).
Quando diciamo “solo per oggi” significa che l’offerta finirà domani e, se non ti affretti, perderai un’occasione. In pratica generiamo una sensazione di incertezza, suggerendo che la disponibilità di qualcosa di cui hai bisogno è limitata.
In inglese questa metodologia (introdotta grazie agli studi della psicologia umana) viene definita FOMO (Fear of Missing Out) ovvero “paura di perdersi, di rimanere tagliati fuori”; manco a dirlo, una tale sensazione può essere alla base di alcune forme di nevrosi.
La paura non può costituire il fondamento di alcuna relazione; al contrario, quello che occorre sono sicurezza e benessere psicologico. Creare un rapporto richiede tempo: entrambi gli interlocutori hanno bisogno di una atteggiamento mentale durevole di reciproca fiducia e tranquillità.
Tartarughe, non lepri
I fan dello Slow Marketing amano raccontare la metafora della tartaruga e della lepre che si sfidano in una gara di velocità. Ovviamente la lepre è sicura di vincere perché sa di essere la più veloce, così – tanto per umiliare l’avversaria – si prende il lusso di fare un sonnellino; intanto la tartaruga, perseverante, continua a camminare e, quando la lepre si sveglia, scopre che ormai è troppo tardi per raggiungerla prima che tagli il traguardo.
La morale della favola? Costruire una relazione coi consumatori è un processo lungo: occorrono coerenza, pazienza e perseveranza per giungere ad un successo durevole.
Un approccio personalizzato
Riservare a ciascun interlocutore un trattamento personalizzato implica che occorre conoscere i gusti dei propri clienti reali o potenziali, il che – ancora una volta – richiede tempo.
Se non esiste la possibilità di un contatto diretto, come in un negozio tradizionale, è possibile (grazie alla Marketing Automation) studiare il Digital Body Language dei nostri contatti, ovvero dedurne bisogni e preferenza basandoci sul loro comportamento sul web.
Quello che conta, tuttavia, è la lealtà: serve a poco un singolo acquisto fatto d’impulso. Ciò che persegue lo Slow Marketing è un rapporto in cui il cliente è soddisfatto perché consapevole di aver speso bene il proprio denaro, così è più probabile che si fidelizzi al marchio e continui a rivolgersi al suo sistema di offerta.
Creare relazioni con il Lead Nurturing
Questa tecnica, ancora una volta implementabile grazie alla Marketing Automation, è un ottimo espediente per creare una relazione graduale, duratura, focalizzata sui consumatori e spesso molto efficace – specie se il relativo programma di marketing è concepito in modo ottimale.
In particolare, secondo Alan Weiss, il coinvolgimento dei contatti e la loro “coltivazione” per farli diventare clienti è un processo che richiede sei fasi e molta pazienza; di conseguenza, forzare le tappe o, al contrario, dimenticarsi dei lead che in un primo momento non si dimostrano interessati – rinunciando a fare in seguito ulteriori tentativi – sono errori da evitare assolutamente.
Un processo graduale e attento, in cui non si pretende di avere tutto e subito, non aggredisce i consumatori con messaggi insistenti e spesso poco rilevanti, mirati a vendere loro qualcosa che non sono ancora pronti a comperare; al contrario, li si induce a creare insieme a noi un dialogo articolato, personale, progressivo, dinamico e non invadente.
In questo dialogo si cerca di mettere in pratica quello che Carolyn Tate definisce Conscious Marketing, ovvero marketing della consapevolezza.
Secondo questo modello si mettono successivamente a fuoco gli elementi chiave del processo: cosa, perché, chi e come – ovvero il prodotto, il suo scopo e le persone a cui si rivolge, ponendone in evidenza il valore attraverso la reiterazione di promozioni (suggerimenti, stimoli ed elementi in grado di comprendere meglio la soluzione proposta e i suoi vantaggi nell’ambito di un preciso contesto).
Cosa pensate dello Slow Marketing?
Un marketing più lento e consapevole è solo una nuova etichetta incollata su una tendenza già in atto?
Può funzionare?
Forse si tratta di qualcosa che va bene solo per un piccolo settore merceologico?
Fateci sapere la vostra opinione!
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